Archivio per marzo 2013

Beach House state of mind.

Beach-House-allEstragon-9-marzo-2013
Il destino è beffardo. Quando ero un giovane fan di mille band americane più o meno indie, ricordo che vederli in tour in Italia era un miraggio. Allora i dischi ancora si vendevano, gli artisti erano ricchi e se ne fregavano di venire in tour, figurati da quei puzzoni degli italiani.
Poi un giorno internet ha ucciso le case discografiche, i gruppi hanno visto crollare i loro incassi, e hanno dovuto muovere il loro culo per andare in tour e tirare su un pò di moneta.
Tutto questo pippotto per raccontarvi quello che è successo Sabato scorso.
Allora c’è questa mia amica che è nel periodo fissa Beach House, sapete quel momento in cui ascolti lo stesso dischi mille volte,  che sei completamente assuefatto, e l’unica cosa al mondo che vorresti, è vederti il concerto del suddetto gruppo, possibilmente nello stesso emisfero.
Insomma la mia amica, la chiameremo Giulia, ci chiede quando potranno mai venire in tour in italia, e viene a scoprire che suonano proprio in quel giorno a Bologna.
Quindi saltano tutti i piani di sbronze riminesi e ci si imbarca (visto che la A14 è allagata ) nell’avventura. All’Estragon c’è la consueta fila di rappresentanza anche se il locale è pieno per metà, ma rispetto alle trenta persone di pubblico del concerto al Covo nel 2008, è sempre un bel traguardo. Diciotto euro e passa la paura, in un attimo siamo dentro e i miei amici a bere birra annacquata. Io come al solito mi piazzo alle spalle del fonico ( e del luciao) in modo da avere visuale libera e  un corretto ascolto stereofonico.
Quando parte il concerto sono preso malissimo, perché al mixer ci saranno 90dB se va bene e manca completamente la botta: c’è più pressione sonora nel mio soggiorno. Poi per fortuna piano piano il volume aumenta, ma riusciamo sempre a parlare tranquillamente senza alzare la voce tra di noi.
Sono sempre in tre sul palco, dominato dalla presenza carismatica di Victoria LeGrand e decorato da un sistema di luci minimale e quasi sempre li vediamo in controluce, con Alex Scally che rimane sempre seduto sulla sinistra a ricamare arpeggi sulle lunghe note di organo.
Il concerto dura mezzora. O forse un ora. O forse tre. Non riesco a capirlo perché i pezzi potrebbero essere tutti uguali, ma vengo talmente rapito dall’atmosfera che potrei stare lì ad ascoltare per tutta la notte.
Lei parla poco e quando lo fa è meglio se non lo avesse fatto. Il pubblico non la aiuta visto che non risponde alle domande, ma va in estasi appena partono le note di Gila.
Con mio gaudio e giubilo il bis e ultimo pezzo è Irene, canzone bellissima e mia preferita dell’ultimo disco, con il bridge infinito (qui ancora più dilatato) di chitarra arpeggiata e rullantone riverberato alla Slint che mi lascia col fiato sospeso per tutta la durata.

Il rito è compiuto. Ancora in estasi non ci rimane che aspettare mezzora per uscire dall’unica usicta di sicurezza(!?!?) del locale e andare a sbronzarci come da contratto del sabato sera.


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