Archivio per dicembre 2015

Dischidemmerda 2015

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L’ho lasciata per ultimo, e per molto tempo ero indeciso se riproporre o meno questa rubrica, ma visto che me l’avete richiesta in tanti, mi sono deciso a farla.
Per chi non fosse di casa, nei post precedenti può trovare la consueta classifica annuale dei dischi di quest’anno, mentre in questo  menziono le peggio cose uscite nel 2015 in ordine più o meno casuale.

Mumford&Sons – Wilder Mind
Dopo due dischi banjo&mandolini, prendono una botta in testa, e fanno un disco pop-rock sperando di sfondare nel mainstream, ma a parte il singolo obiettivamente gradevole, l’unica cosa che sfondano sono i coglioni.

Viet Cong – Viet Cong
Qui lo ammetto: il problema è mio. Il post punk mi fa cagare. Il disco non sarebbe nemmeno bruttissimo, ma non riesco ad ascoltare due tracce di fila, mi da proprio fastidio, come dicono i Camillas.

Coldplay – A Head Full of Dream
Va bene che ormai sono in un declino inarrestabile, va bene che lui deve pagare gli alimenti a Gwyneth Paltrow, va bene che fanno i duetti con Rihanna, va bene che fanno produrre i dischi ad Avicii, va be che ogni ritornello ha un “ohhhhh”.insomma avete capito, è un discodemmerda.

Susanne Sundfør – Ten Love Songs
Per motivi oscuri è in cima a tutte le classifiche di fine anno dei vari Pitchfork&C. ma faccio fatica a trovare qualcosa di più inutile del disco di questa povera norvegese.

Grimes – Art Angels
Qui siamo proprio al comico: Stereogum l’ha messa al primo posto. Probabilmente perché usciva negli stessi giorni della classifica, e poi fa alternativo e non impegna. Peccato che il disco è un accozzaglia di dance becera con una capra che bela  su ogni canzone.

Disclosure – Caracal
Sorvoliamo che il precedente “Settle” venne unanimemente incensato come capolavoro nonostante due singoli danzerecci che a due anni di distanza già ti vergogni di riascoltarli, ma questo secondo capitolo è una mondezza dance senza capo ne coda, aggrappato alla voce di featuring che dovrebbero salvare l’insalvabile.

Lana del Rey – Honeymoon
Prima o poi i nodi dovevano venire al pettine. La sua storia la conosciamo tutti: figlia incapace di un facoltoso che gli permette di avere gente che le scrive, gente le suona, gente che le produce, (e probabilmente gente che le canta) pezzi bellissimi. Al terzo disco il castello crolla, forse il papi ha smesso di sganciare, fatto sta che il disco non serve nemmeno come sottobicchiere, i pezzi sono inutili e piatti, si rischia di dormire dopo cinque minuti. Poi c’è l’apoteosi “Salvatore”. Ascoltatela  se avete coraggio.

Kurt Cobain – Montage of Heck
Dioladro, ma ancora nel 2015 volete sfruttare il nome di questo povero cristo? Pubblicare un disco di appunti registrati nel quattro tracce a cassette e spacciarlo come disco ritrovato è diabolico. Sparatevi in faccia.

Pope Francis – Wake Up!
Giuro che esiste, non so di cosa si tratti e non voglio indagare, di sicuro finisce dritto tra i dischidemmerda 2015.

#1 Villagers – Darling Arithmetic

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E’ usanza per i principali network specializzati nella musica indie mettere al primo posto nelle loro classifiche annuali, un disco bello, ma non troppo e di cui si è parlato poco durante l’anno. E’ la sublimazione dell’essere alternativo in un contesto che già dovrebbe esserlo a sua volta. Quindi se Stereogum mette al primo posto un discodemmerda come quello dei Grimes, io ci metto quello dei Villagers che non è demmerda, anzi è proprio bello.
E’ uscito i giorni del mio compleanno, ma io l’ho scoperto in piena estate, grazie a Joyello, un altro blogger. E in uno di quei giorni di caldo assurdo di Luglio ho scoperto “Hot Scary Summer”, una dei pezzi più belli dell’anno. In realtà tutta la prima parte del disco (il famoso lato A) è un insieme di canzoni una più bella dell’altra. Atmosfere intimistiche, chitarre acustiche, voci sospirate, arpeggi sognanti, poche note di pianoforte messe solo dove servono. Chi mi conosce sa che queste sono le armi giuste a fare breccia nel mio cuore di pietra, e questo irlandese del cazzo ci è riuscito. Peccato per la seconda parte del disco, decisamente inferiore alla prima. Anche se ancora alla seconda prova, Conor J. O’Brien promette decisamente bene sia sul lato musicale che su quello dei testi, sempre profondi, attuali e a volte caustici. Lo attendiamo all’opera con la prossima uscita, sperando di trovarlo in cima almeno alla mia classifica.

#2 Jamie XX – In Colour

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Era la fine di Maggio, l’estate stava per arrivare prepotente, e mentre ero al lavoro sento alla radio una voce che mi è familiare. Penso: La voce sembra quella della tipa dei XX, ma questo pezzo non lo conosco, eppure han fatto solo due dischi e li so a memoria. Poi tornando a casa e googolando mi resi conto che era il tipO dei XX ad aver fatto il disco solista.
All’inizio queste atmosfere da club londinese non mi erano andate giù. Era quasi danzereccio, e non era triste come al solito!
Poi piano piano è entrato sempre più nella mia testa, fino a diventare la colonna sonora del viaggio in Sicilia, e della fuga alle terme toscane. Non era poi così danzereccio, e i suoni erano veramente ricercati. Come le steel drums di “Obvs” o l’ipnotica linea melodica di synth del primo brano. Le chitarre erano le sue, quelle si riconoscono, come pure la voce di Romy, la tipA, che in due brani porta la sua leggiadria facendo pensare a come potrà essere il nuovo dei XX.
Canzone: Hold Tight.

#3 Beach House – Depression Cherry

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Un album bellissimo. Con l’unica colpa di arrivare dopo un capolavoro come “Bloom”. E stesso discorso per il seguente “Thank You Lucky Star” che è uscito a sorpresa pochi mesi dopo. La formula è sempre la stessa: spessi tappeti di synth , ipnotici intrecci di chitarra, leggere batterie elettroniche, e liriche delicate e depresse come annunciato dal titolo. Meno psichedelico e volatile del precedente, e un po’ più pop, Depression Cherry riesce ad essere uno se non due gradini sotto Bloom e contemporaneamente essere uno dei migliori tre dischi del 2015. Segno che questo non è stato un anno straordinario, ma anche che tutto quello che sfornano Alex Scally e Victoria Legrand è sempre di un livello superiore alla media.
Canzone: PPP

#4 Tame Impala – Currents

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Il riassunto di questo disco, e di tutta la carriera dei Tame Impala sta tutto nel primo pezzo. “Let it happen” è un pezzo pop, abbastanza catchy, ma non troppo per essere radiofonico, dilatato a dismisura per permettere di inserire i tanti giochini di mixaggio e produzione che sembrano essere il segreto del gruppo australiano. In quasi otto minuti di questa canzone troviamo un po’di tutto: dagli effetti flanger, alla batteria che sembra incantarsi, alle ondate di synth che arrivano sommergendo tutto.
Proprio i sintetizzatori fanno la parte del padrone in tutto il disco, un po’ troppo lungo per dire la verità, che per il resto non fa altro che replicare quanto di buono fatto nei due dischi precedenti. Anche se non c’è più alla produzione, la lezione di  Dave Fridmann è stata imparata bene, difatti negli ultimi tempi Kevin Parker è stato chiamato a produrre anche altre band e ora ha la fila davanti alla porta.
Il limite di questo disco sono le canzoni, purtroppo non certo memorabili, e l’impressione è che sia un giocattolo con la confezione più bella del contenuto. Rimane comunque godibile per la produzione e i suoni innovativi, e quando si è in stato di percezione alterato da sostanze psicotrope.
Canzone: Let It Happen.

#5 Destroyer – Poison Season

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Il Signor Dan Bejar è Mr. Destroyer. E’ un tipo un pò strano, di quelli che quando gli parli preferisce guardarsi le scarpe piuttosto che negli occhi. Ha diversi problemi interpersonali e fa fatica ad avere relazioni sociali.

Non le so queste cose, punto ad indovinare, ma ascoltanto i suoi dischi, e vedendolo in concerto sono sicuro di non sbagliarmi affatto. Il bello è che queste persone più sono disturbate, e più ci regalano dischi belli. Questo Poison Season arriva 4 anni dopo l’incensato Kaputt, e ben 19 anni dal primo disco. Per fortuna negli ultimi anni il mondo intero si è accorto di questo strambo personaggio canadese e della sua band. Si perchè se lui è la colonna portante del progetto, la sua band ha raggiunto un intesa formidabile, e gli arrangiamenti sono sempre più godibili, le parti dei fiati sopratutto. Tutto il disco fila liscio come l’olio, e incredibilmente l’indie rock riesce a convivere con le atmosfere raffinate, le Jazzmaster insieme agli ottoni, gli Orange insieme ai pianoforti e agli archi.

Canzone: Times Square.


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