Archivio per dicembre 2021

#1

Arcade Fire & Owen Pallett – Her (Original Score) 

Premessa: questa è una PROVOCAZIONE. Se ho dovuto mettere un disco del 2013 (anche se pubblicato solo quest’anno) è perchè non c’è stato nessun disco del 2021 meritevole di stare al #1.

Her è un film meraviglioso di Spike Jonze del 2013 con Joaquin Phoenix e Scarlett Joahnson. Non chiedetemi perché mai questo disco sia uscito ufficialmente solo nel 2021, io lo ascolto ininterrottamente ed estasiato da 8 anni. Infatti ricordo bene che l’avrei messo in cima alla classifica di quell’anno, ma non si poteva e la cosa mi fece abbastanza incazzare: quindi recupero adesso. Il disco è più Owen Pallett che Arcade Fire, di cui è violinista ed arrangiatore ed è come ho già detto meraviglioso. Minimale e tristissimo, ti fa catapultare nella gelida atmosfera di una persona reale che si innamora di un OS tra solitarie note di piano e tappeti sonori, tra Yann Tiersen e Debussy, non mancano droni e archi. Per inguaribili romantici ed eterni depressi insoddisfatti della vita.Canzone:

Song On The Beach.

#2

Ben Howard – Collections From The Whiteout 

Gli ultimi anni musicalmente parlando sono stati un pò un pianto, con poche eccezioni, e il nostro eroe qui è quello che mi ha fatto battere di più il mio freddo cuoricino con gli ultimi due suoi album. Per questo quarto capitolo ha deciso di farsi produrre da Aaron Dessner dei The National, quindi le premesse erano spaziali, purtroppo invece il risultato è ampiamente al di sotto delle aspettative. Non è certo un brutto disco, anzi. La classe c’è tutta, gli arrangiamenti sono moderni e interessanti, quello che manca è l’emozione. Il tutto rimane un freddo esercizio di stile, tra l’altro il disco è pure lunghetto e ascoltarlo tutto d’un fiato rimane abbastanza pesante anche se alla distanza viene fuori. Per carità, ce ne fossero di dischi così, però si sa: dai nostri eroi ci aspettiamo sempre il meglio, e gli ultimi lavori di Bill Callahan o Bon Iver dimostrano che ogni tanto si può anche inciampare.

Canzone: You Have Your Way.

#3

Big Red Machine –  How Long Do You Think It’s Gonna Last? 

Questo è quello che una volta chiamavano “supergrupppo” ovvero Justin Vernon di Bon Iver e Aaron Dessner dei The National. Come spesso capita, la montagna fa topolini, ma questa volta è una bella topona. Rispetto al primo disco, questo è un deciso passo avanti, le canzoni sono convincenti e non sono solo puri esercizi di stile. C’è pure una bella carrellata di ospiti come Fleet Foxes, Sharon Van Etten, Ben Howard, e purtroppo Taylor Swift che fa guadagnare visibilità, ma anche perdere credibilità al progetto. Se come me, amate Bon Iver e The National, non potete non godere nell’immergervi in queste atmosfere, apprezzando la produzione sopraffina, pur non aggiungendo nulla di quello che abbiamo già sentito prima.

Canzone: Brycie. 

#4

Modest Mouse – The Golden Casket 

Questa è una storia bellissima, quella di un gruppo americano che ha fatto la storia dell’indie (quello vero, non le cagate italiane) e che dopo quasi 30 anni di carriera, tra abbandoni e un ultimo disco veramente incolore, riesce a ancora a stupire con un lavoro centrato e che riesce a non sembrare stantio in un momento in cui il rock e le chitarre elettriche sembrano roba da museo. Sono di parte, ma quando dietro al mixer c’è John McEntire dei Tortoise il successo è sempre assicurato. Cinquanta minuti, 12 brani senza filler, una produzione ricca ma mai ridondante, con Isaac Brock che fa da padrone e una band che lo asseconda per filo e per segno. Bentornati.

Canzone: We Are Between.

#5

Villagers – Fever Dreams 

Mi è sempre piaciuto tifare per gli underdogs. In particolare il piccolo irlandese è entrato nelle mie grazie a quel piccolo gioiello di “Darling Arithmetic” del 2015 ( consiglio tutti ad andare a recuperarlo). Da allora la strada intrapresa è sempre meno quella del cantautorato alla Nick Drake, e sempre di più verso un suono più da “band” con arrangiamenti a volte sontuosi, con minutaggi che si allungano, tempi in 7/4, con trombe, sassofoni e addirittura cori Pink Floydiani che ricordano anche gli ultimi lavori dei Girls. Spesso le cose più belle sono infatti le code interminabili di alcuni pezzi che sfociano in suite da sei minuti dove c’è spazio per il resto del gruppo, fino ad oggi troppo spesso bistrattato, peccato per il lato B del disco che è un pò inutile, come quasi sempre nei suoi lavori.

Canzone: The First Day.

#6

Sam Fender- Seventeen Going Under
Artefice del debutto più interessante degli ultimi dieci anni, il nostro ragazzone di Nord Shields giunge alla fatidica prova del secondo album, che solitamente è la più dura. Per farlo usa le stesse armi dell’esordio: questa commistione tra Springsteen cantato con accento del Nord England, e delle ritmiche alla War on Drugs. Fila tutto liscio, tranne che manca quella genuina spontaneità del primo disco, quell’urgenza di gridare al mondo i suoi guai e le problematiche di una non facile adolescenza. Penso che la fretta di rifarsi dalla botta del Covid abbia influito sui tempi di questo disco che forse avrebbe avuto bisogno di qualche tempo in più per prendere la mira e capire in quale campionato giocare.

Canzone: Get You Down.

#7

Cassandra Jenkins – An Overview On Phenomenal Nature 

Lo ammetto: non avevo idea di chi fosse. A inizio anno lessi diverse recensioni positive, quindi decisi di ascoltare Hard Drive su YouTube. Fu amore a prima vista. Questo pezzo da solo vale il disco la sua semplicità e dolcezza, e ascoltarla mentre guidavo per un’ora da e verso il mio turno di lavoro mi dava una grande pace interiore. Tutto il disco rimane su questa falsariga, più che cantare sussurra, ma non da fastidio come Lana Del Rey, gli arrangiamenti un pò country, un pò new age sono sempre calibrati e mai ridondanti. Disco underdog dell’anno.

Canzone: Hard Drive.

#8

The War On Drugs – I Don’t Live Here Anymore 

Da sempre giocano in equilibrio tra il Neil Young più fico e il Bryan Adams più becero. Dopo la perfezione di “ A Deeper Understanding” era logico aspettarsi un passo falso, che purtroppo è arrivato. Il disco parte bene, con l’intima “Living Proof”, poi quello che sembra è una raccolta di B-side del lavoro precedente, con una produzione più finta. Si perché se all’inizio questo occhio strizzato alle batterie anni ’80 poteva essere intaressante, alla lunga stufa e pare di ascoltare una demo di una batteria elettronica Roland.

Canzone: Living Proof. 

#9

9)William Fitzsimmons – Ready The Astronaut 

William Fitzsimmons è un Sufjan Stevens che non ce l’ha fatta. Per oscuri astri celesti il nostro pelatone di Pittsburgh è arrivato a quota 9 album senza che il mondo se ne accorgesse, e credo che ormai purtroppo rimarrà così. Peccato per lui e peccato per chi si perderà anche questi 11 brani intensi, prodotti bene, tra il folk e qualche timido spunto di elettronica spiccia, rimanendo fedele alla tradizione folk americana. Forse la colpa sarà perché le sue copertine dei dischi fanno sempre cagare?!

Canzone: Dancing On The Sun

#10

10)Maximo Park – Nature Always Wins 

Più volte nella vita sono stato tentato mi mandarli a cagare, poi ogni volta ripensi a quanto era bello “Our Earthly Pleasures”, al poster gigante al Plastic di Mirko, e ogni volta gli dai una seconda chance, sperando che sia la volta buona. Non sono più ai livelli del 2007 ma devo ammettere che questo disco mi ha soddisfatto, sono la dimostrazione che anche nel 2021 si può fare dell’onesto indie-rock senza risultare dinosauri e senza dover cadere nelle tentazioni di vocoder e altre stronzate varie. E poi quell’accento di Newcastle non è meraviglioso?

Canzone: Child Of The Flatlands.


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