Archivio per dicembre 2011

4

Bill Callahan – Apocalypse

Vi ho fregato anche sta volta. Pensavate di trovarlo al primo posto come al solito eh? E invece no, anche perchè da Dio noi pretendiamo sempre il massimo, e nonostante questo sia uno dei dischi più belli lo lasciamo giusto sotto il podio. Il caro Bill ha leggermente cambiato il tiro anche sta volta, e purtroppo continua a ostinarsi a non avere un batterista serio (a quando McEntire o Jim White ancora una volta?!). Le chitarre invece sono bellissime, sia quando sono sgangherate, sia quando sono country, e le parti di solo sono di una straziante bellezza.
Disco corto, solo 7 brani di cui quello finale di quasi nove minuti per un totale di quaranta scarsi. C’è anche lo spazio per “America!” una canzone di denuncia, parlata alla Lou Reed, dove se la prende con il suo paese e le sue contraddizioni; Oppure i flauti di “Universal Applicant”. In generale c’è meno country rispetto ai primi due dischi, e molto più risalto ai testi, livello delle canzoni altissimo, ma nessuna che svetta rispetto alle altre e che ci farà ricordare il disco, per fortuna, come per il precedente, un altra copertina bellissima, ancora stiamo cercando di digerire quella di “Woke On A Whaleheart”…
Canzone: Drover

5

J Mascis – Several Shades of Why

Il vecchio J ci aveva già abituato a dischi acustici, ma questa volta ha fatto qualcosa di più. Non ha fatto un disco alla Martin+Me per capirci, ma un piccolo gioello intimista contornato da arrangiamenti fatti di archi, cori, chitarre 12 corde, violini, senza però mai mancare il focus sulle canzoni, di un livello così alto come non gliele sentivamo scrivere da dieci anni.
In realtà J non è propio da solo, ci sono un sacco di ospiti ad abbellire ancora di più le canzoni, gente come Kurt Vile, Kevin Drew o Suzanne Thorpe con il suo flauto di Mercuryana memoria. L’unico strumento che è sempre assente è la batteria, e i Marshall sono sempre spenti,tranne in qualche raro assolo elettrico.
Canzone: Very Nervous and Love

6

The Pains Of Being Pure At Heart- Belong

Altro gruppone che dopo un disco d’esordio folgorante era atteso alla prova del secondo. In questo caso si è deciso di cambiare nettamente, a partire dalla produzione: quella accoppiata Flood  e Alan Moulder che ha tanto caratterizzato i dischi degli Smashing Pumpkins negli anni ’90, e che qui ha lasciato profondamente il suo segno.
Per qualcuno fin troppo, visto che ha snaturato il suono sognante del primo disco in favore di un ibrido tra tastieroni e rullanti finti anni ’80 e le chitarrine indie dei nostri tempi con volumi volutamente sbagliati e compresse fino a comprometterne il suono.
I pezzi ci sono, e il livello rimane alto per tutto il disco, purtroppo mancano i singoloni danzerecci da Hana-bi, e questo è il motivo per cui è in questa posizione, ma sono convinto che Belong si ascolterà anche fra dieci anni.
Canzone: Belong

7

Yuck – Yuck
Bum! Esordio dell’anno e gruppo nuovo più in alto in classifica. Fanno roba nuova? No, fanno musica schifosamente anni ’90. E magari loro ci sono nati in quegli anni, però questo disco suona come uno del ’91. Dentro ci trovi i Pixies, le Throwing Muses, i primi Placebo, i Pavement e chissà cos’altro ancora, e per chi come me è cresciuto con questa musica è difficile resistere. Le Melodie sono catchy, i suoni puliti, pochi arrangiamenti,niente superproduzioni: solo Jaguar, PrecisionBass e batteria.Completano il quadretto una bassista alla Kim Deal, un batterista con la parrucca di King Buzzo e un chitarrista sosia di Gecco.
Canzone: The Wall

8

Anna Calvi – Anna Calvi.
Sapete bene che c’era fin troppo hype quando è uscito questo disco per cui, ho aspettato diversi mesi per ascoltarlo con orecchie non condizionate.
Era estate perchè mi ricordo di un viaggio fatto con i finestrini abbassati e la bionda che schitarrava nello stereo.
Visto che è finita nella top ten avrete già capito che se lo è meritato. Pur non facendo nulla di nuovo, anzi sciommiottando un pò Jeff Buckley, un pò PJ Harvey, ma facendolo molto bene.

E con pochi mezzi, perchè a parte qualche arrangiamento in First we kiss, il resto è batteria, basso, e una tele attaccata a un Deluxe con un quintale di reverbero.
A dirla tutta fa quasi rabbia, è bona, sa cantare, e suona la chitarra da dio, ce l’avrà un difetto? speriamo che almeno gli puzzino i piedi.

Canzone: Blackout.

9

Girls-Father, Son, Holy Ghost

Li aspettavamo un pò tutti alla prova del secondo disco, anche se con un Ep coi contocazzi nel mezzo, anche perchè come tutti sanno è la prova del fuoco, e la maggior parte delle volte è una cagata.
Qui sono partiti con un titolo un pò impegnativo, la solita copertina monotematica e un discreto minutaggio.
Inevitabilmente ci sono un pò di pezzi inutili, come il primo, ma già da Alex si capisce l’andazzo: super produzione, suoni puliti, batteria precisa, chitarre cattive ma che non mordono mai, un pò come nei dischi dell’ultimo Moz.
Ma il meglio viene nella seconda parte, il lato B avremmo detto una volta. Qui ci sono le canzoni più lunghe, ma che sono quelle per cui vale la pena avere questo disco.Che poi alla fine sono tutte ballatone struggenti, comprese un paio dedicate a mammà. A
trovargli un difetto, a volte sembra che scimmiottino i Pink Floyd di the great gig in the sky con tutti sti cori di negre,ma va bene lo stesso.
Insomma il gruppo americano più inglese che c’è.
Canzone: Just a Song.

10

 

TV On The Radio – Nine Types Of Light

Ecco un altro gruppo che è una sicurezza, ogni disco sai che non ti delude mai, un pò come le squadre di Capello, pochi goal incassati, risultati sicuri.
Purtroppo praticamente in contemporanea con l’uscita del disco, è arrivata anche la notizia della morte per cancro del bassista, cosa che sicuramente ha influenzato anche la fase creativa e di registrazione.
Purtroppo sia la copertina, che l’ordine delle canzoni non sono delle più felici, e questo ha un pò rovinato l’insieme di un comunque disco interessante e che alla lunga distanza non stanca mai.
Canzone: Repetition

11

Death Cab For Cutie – Codes And Keys

Ormai tutte le volte che esce un loro album, non si può non pensare alla figura di merda galattica che fece la tizia che recensì un disco sbagliato invece del loro su Rumore. Questa cosa credo abbia avuto ripercussione anche sul gruppo, almeno in Italia, visto che non se lo è filato nessuno e vedo che non è finito in nessuna classifica di fine anno.
Vabbè che non sono più di moda, che non hanno più canzoni in telefilm per adolescenti dementi però è strano che un disco del genere debba finire nel dimenticatoio.
Tra l’altro di undici pezzi, da scartare c’è solo il primo che fa un pò da intro e che puntualmente skippo. Gli altri rimangono tutti su un livello alto pur restando in un territorio di indie rock molto pop, ma con melodie spesso irresistibili.
Canzone: You Are a Tourist.

12

James Blake – James Blake

Erano l’inverno dell’anno scorso. Ero in macchina ascoltando b-side e Bertallot mise  questa cover strippata di Feist. Allora, premetto che amo Feist e odio le cover, rimasi assolutamente affascinato da suoni spaziali e rischiai seriamente di sfontare i woofer della macchina. Dura da digerire, ma era più bella questa versione dell’originale. Gli spazi lasciati volutamente vuoti lasciavano galleggiare il pezzo per i suoi 4 minuti, e quando partiva il basso che wobbava era un vero godimento, e una ricerca sempre più ardita alla ricerca di un subwoofer che riuscisse a riprodurre questo spettacolo nella sua interezza.
A dire tutta la verità il disco non è così entusiasmante, anzi direi che a livello compositivo siamo abbastanza scarsi, e a volte l’autotune spacca veramente il cazzo. Diciamo che questo disco è stato un divertente esercizio di stile su come comporre musica nel 2011 uscendo dagli stereotipi sonori a cui siamo abituati, e usando suoni e frequenze mai sentiti prima.
Canzone:  Limit To Your Love.

13

rem_collapseintonowR.E.M. – Collapse Into Now
Ormai l’arrivo quasi annuale di un disco dei R.e.m. era diventato quasi un incubo. Solito singolone da classifica e resto dell’album da buttare nel cesso.
Anche stavolta pensavo andasse così. La melodia e la chitarra acustica di ÜBerlin erano troppo catchy per resistere e non scaricare Collapse Into Now e prepararsi al solito rito. E invece sorpresa, il disco regge nella sua durata e prova anche ad esplorare territori diversi dai soliti battuti dal trio di Athens.
Poi ci sono i pezzi alla Rem, come “Oh My Heart” coi mandolini e i coretti di Mike Mills e capisci perchè questo gruppo è durato tutto questo tempo. A proposito, a meno di ripensamenti sembra che questo sia l’ultimo disco. Io non ci credo molto, ma già mi mancano.


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