Archivio per dicembre 2020

1)Destroyer – Have We Met

Li davo per persi, dopo un disco orribile come “Ken”. Invece qui siamo tornati ai fasti di “Kaputt”. Più scarni, con un basso alla Peter Hook che tiene su tutto, in un lavoro interessante dall’inizio alla fine. E’ il disco che ha girato di più in questo disgraziato 2020 nei miei monitor Genelec, nelle cuffie e in auto. Perché non stanca mai, perché gli arrangiamenti per quanto minimali sono perfetti, perché è un disco perfetto per guidare, ed io in auto ci sono stato tanto, perché è un disco difficile da catalogare, che abbraccia vari generi, ma sopratutto perché è stato scritto bene.

Canzone: It Just Doesn’t Happen.

2)Caribou – Suddenly

Camminavo sotto il sole di Alcalà, ignaro della tempesta che ci avrebbe travolti. Ma quei giorni erano sereni, covid-free e nelle cuffie c’era spesso questo disco appena uscito, e il ritmo era perfetto per le mie scarpinate sotto il sole cocente di Tenerife e l’azzurro della copertina era lo stesso dell’oceano Atlantico. Ormai non c’è più bisogno di spiegare chi è Caribou, a distanza di 4/5 anni ci regala queste piccole perle di musica elettronica, ma fatta con intelligenza. Dentro c’è di tutto: IDM, psichedelia, pop, campionamenti, sperimentazione; insomma l’esempio che nel 2020 si possa fare buona musica con solo l’ausilio di un computer. 

Canzone: Home.

3)Damien Jurado – What’s New, Tomboy?

In 25 anni il nostro caro amico canadese ci ha abituato quasi ogni anno ad una uscita musicale. Con alti e bassi fisiologici, il livello di scrittura è sempre altissimo, e se vi piacciono le atmosfere alla Nick Drake, lui è il vostro uomo. Questo episodio fa parte di quelli più minimali, ma le atmosfere rarefatte, la voce delicata, gli arrangiamenti azzeccati vi conquisteranno, e questo disco vi farà compagnia nei lunghi viaggi notturni in compagnia dei vostri pensieri.

Canzone: When You Were Few.

4)Tame Impala – The Slow Rush

Gli australiani sono una delle poche Big Thing rimaste nel campo musicale attuale, arrivati al quarto disco erano attesi al varco dopo che il precedente “Currents” aveva fatto storcere il naso a molti. L’inizio con “One More Year” è strepitoso, un meraviglioso esempio di come fare rock psichedelico nel 2020 usando la produzione al posto delle chitarre. Purtroppo come sempre coi loro dischi, si fatica ad arrivare alla fine, troppi filler e sopratutto il vuoto che si cela sotto questa scatola scintillante si fa sentire, e il tutto rimane come un gradevole intrattenimento e poco più.

Canzone: On Track.

5)Daniel Blumberg – On&On&On

Daniel era il primo frontman dei Yuck, che ai tempi erano TheNextBigThing della scena indie. Poi John ha lasciato il gruppo, si è un pò esaurito, ha viaggiato, gli sono caduti tutti i capelli e sopratutto è diventato triste. E allora nel 2018 ha fatto uscire il suo primo disco solista, “Minus”, forse il più bello dell’anno, e quest’anno si replica. Stessa formula, con il batterista dei Dirty Three Kim White e un violino ad accompagnarlo in 28 minuti di disperata bellezza. A volte dolce, a volte cacofonico, a folte free form, può ricordare certi lavori solisti di Thalia Zedeck. E’ stata la mia colonna sonora nei giorni del lutto del mio gatto Blackie, e vi assicuro che le lacrime con questa musica erano di una struggente bellezza.

Canzone: Bound.

6)Owen – The Avalanche

Mike Kinsella è da sempre uno dei miei piaceri personali, che sia Con gli American Football, coi Joan of Arc, o con questo che è il suo progetto personale. Ogni disco è un gioiello di intimità musicale, liriche sofferte, e chitarre acustiche cristalline. Questo rimane appena un gradino sotto al precedente, che era stato uno dei migliori del 2016.  C’è sempre S. Carey dei Bon Iver alla produzione (e alla batteria). Proprio le batterie e le chitarre  elettriche questa volta sono in secondo piano  per privilegiare un lavoro più intimistico, peccato per la seconda parte, che perde un pò di brio.

Canzone: On With The Snow.

7)Fleet Foxes – Shore

Dopo il primo disco perfetto, un secondo meh, e un terzo che faceva venire il mal di testa, finalmente qui il gruppo di Robin Pecknold torna con un disco piacevole da ascoltare. Tutto fa pensare al alla positività, dalle melodie scintillanti, alla copertina, fino ai testi. Certo la genialità e la freschezza del primo disco non ci sono e non torneranno più, ma preferiamo di gran lunga questa versione a quella cervellotica di “Crack-Up”. L’inizio con i tre brani collegati è al fulmicotone, poi con alti e bassi mantiene sempre un buon livello. Purtroppo anche qui la lunghezza non aiuta, e qualche sforbiciata qua e là avrebbe aiutato, ma ce ne fossero di dischi così in questi tempi cupi.

Canzone: Can I Believe You.

8)Morrissey – I Am Not A Dog On A Chain

Gli ultimi dieci anni Morrissey sono costellati di: dischi bruttini, esternazioni politiche imbarazzanti, riff quasi hard rock, speculazioni sul suo stato di salute. Fa piacere finalmente ascoltare un bel disco di materiale inedito, dopo la raccolta di cover dello scorso anno, che forse gli hanno fatto correggere il tiro. Nel mezzo pure un duetto con Thelma Houston dei suoni alla The Weekend di “Once I Saw The River Clean” o delle improbabili trombe mariachi nel brano migliore, dove torna la magia delle melodie e della poesia targata Moz.

Canzone: Darling, I hug a Pillow

9)Waxahatchee – Saint Cloud

Per chi non lo conoscesse: è un disco rock-pop con sfumature country. Ma oltre  ad avere un nome impronunciabile queste ragazze scrivono talmente bene che non c’è un pezzo da scartare in tutto il disco. Niente di nuovo per carità, ma qualcosa di piacevole immaginando di essere seduti in un saloon dopo un rodeo mangiado nachos.

Canzone: Lilacs.

10)Perfum Genius – Set My Heart On Fire Immediately

Giunto oramai al quinto disco, non lo si  può più chiamare the next big thing. E anche se questo disco è stato acclamato dalla critica, dubito che potrà mai avere più successo di così, nonostante in questo episodio il nostro Mike Hadreas strizzi l’occhio più volte al pop. In realtà lo trovo meno ispirato del precedente scintillante “No Shape” e il difetto principale rimane la sindrome di Patrick Wolf e alla lunga clavicembali e campanellini rompono un pò i coglioni.

Canzone: On The Floor.


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