Archivio per febbraio 2014

Damien Jurado

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Una volta andavo a vedere un sacco di concerti, tanti kilometri, soldi, fatica, sudore e fatica. Ora che l’anzianità incombe vado solo a pochi e mirati concerti, quasi sempre sono a Ravenna: Bronson o Hana-bi. Probabilmente io e Chris abbiamo gusti abbastanza simili.

Da qui a Maggio ci tornerà per altri due concerti da novanta, ma intanto vi racconto di quello di ieri sera.

Damien Jurado è entrato da non molto tempo nel mio freddo cuoricino, era l’inverno del 2010, non avevo ancora una casa tutta mia, e passavo un sacco di tempo in macchina con la mia neocompagna gaggia per difendermi dal freddo vagando a caso per le colline riminesi, mentre l’ipod suonava pezzi in modalità random, ogni volta che arrivava un pezzo del nostro boscaiolo di Seattle mi si smuoveva qualcosa. Poi l’anno scorso è arrivato Maraquopa ed è scoccato il grande amore, tant’è vero che è finito al terzo posto nella classica 2012.

Partiamo presto, pessima pizza e pesante pezza per strada, e in un oretta la fida ClasseA ci porta al circoletto degli anziani dove si brinda a spritz e prosecco. Quando entriamo il Bronson si è trasformato in cinema di periferia con le sedie davanti al palco e una temperatura subtropicale all’interno. Una novella Joni Mitchell ci delizia con graziosi arpeggi e una voce che ricorda un pò troppo l’illustre canadese.

Mezzoretta e cede il posto al nostro eroe che per andare nel backstage mi sposta dicendomi “scusa” in italiano sicuro.

Il palco è spoglio, lui suona seduto su una sedia imbracciando una Jasmine da pochi dollari e indossa una camicia a scacchi d’ordinanza. Sembra un pò rincoglionito ma è solo timidezza, le prime chiacchiere le fa solo a metà concerto e racconta anedotti sulla sua inadeguatezza alle  temperature italiane d’Agosto, e di quanto si senta a casa sua adesso con la pioggia, il freddo e il buio. Il viso è un incrocio tra Mark Lanegan e un attore comico americano di cui non ricordo il nome e gli occhi sono perennemente chiusi.

Sembra che abbia del cotone in bocca come Marlon Brando nel Il Padrino, è un omone grande e grosso, ma quando inizia a cantare esce una vocina che non capisci da dove venga. Spesso si fa aiutare da un pedalino della Tc che gli sdoppia le voci in un altra tonalità e capisci che lo usa in quasi tutti gli ultimi dischi.

Ci sediamo in terra perchè intanto il Bronson è pieno, e siamo abbastanza davanti ma di fornte alla porta del bagno che sarà foriera di rumori molesti e spifferi glaciali per tutto il tempo. Il tempo vola con il nostro eroe che saccheggia pesantemente dagli ultimi due dischi e concedendo qualcosa alle produzioni più vecchie. Finito l’ultimo pezzo scende direttamente in mezzo al pubblico e va a rifugiarsi nella zona merch.

Veloce viaggio di ritorno e le mie fatiche vengono premiate con i quasi/bignè fatti il giorno prima. Il prossimo è Mark Kozelek in Aprile, preparate i fazzoletti.

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